#VEnotte14, 25 gennaio 2014 | cap. 2, programma “Let’s movie”

Oggi – 8 febbraio – facciamo gli auguri a ▷ Darietto ◎, che ha compiuto 21 anni.

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La strada per la gara di orienteering notturna di Venezia è ancora disseminata di insidie, ma il ritorno della mia bussola rende le mie prospettive leggermente meno fosche, specie sotto l’aspetto meramente pratico: senza bussola, per me, sarebbe impossibile.

La fuga di Kitty (è così che ho chiamato la mia bussola dopo che l’ho ritrovata, perché “Kitty’s back”), però, non era stata l’unica conseguenza della mia esperienza di posatore quasi-qualificato alla prima tappa del CIOC: la permanenza nel bosco – verosimilmente quella di sabato 4, ma anche domenica 5 sotto la pioggia ha avuto il suo ruolo – mi ha debilitata, e ho contratto la malaria, la tubercolosi, la febbre di Oroya, l’impetigine, la pertosse e – già che c’ero – la prostatite. Insomma, mi è venuta la febbre e sono stata male.
Solo una terribile disgrazia, dunque, e non la mia inettitudine, è stata la causa del mio non brillantissimo risultato a Venezia.

Sfortunatamente, infatti, non ho contratto il terribile virus intestinale che ha steso a letto metà delle mie amiche, facendo nascere rapporti molto intimi con la tazza del cesso, che veniva abbracciata a e coccolata a tutte le ore, e che, al contempo, le ha rese ancora più snelle ed eleganti.

Io sono stata vittima di un diffuso malessere, che ha aggredito a malapena il cavo orofaringeo, conferendomi una voce un poco più nasale del solito (si sentirà in un podcast registrato all’epoca e non ancora pubblicato) e una respirazione lievemente più stentata, ma lasciando piena funzionalità all’apparato digerente, senza neppure inficiare la percezione organolettica, anzi stimolando il desiderio di un nutrimento corroborante.
In pratica, all’inizio dell’anno sono stata una decina di giorni tappata in casa, ingozzandomi di carboidrati a tutte le ore, compiendo il solo movimento di trascinarmi dal letto al divano, dal divano al letto e dormendo diverse ore per riprendermi dallo sforzo di averlo fatto.
Tutto ciò, curiosamente, non gioverà alla mia prestanza atletica, ma sul momento la cosa non sembra riguardarmi.
Seguono alcuni giorni di convalescenza, in cui mi azzardo ad uscire di casa, addirittura vado a yoga, ma non oso andare a correre, temendo una fatale ricaduta.

D’un tratto, si staccano i foglietti del calendario senza che io lo possa impedire e arriviamo alla settimana prima della gara, che inizia con il pranzo di sabato all’agriturismo Grmek.

Come al mio solito, mi riduco a tentare il recupero in extremis quando è troppo tardi, così, rinuncio alla pizza domenicale dalla Giraffa “per depurarmi in vista della gara”.
La mia amica, manco a dirlo, non mi prende sul serio, infatti il martedì seguente mi somministra una crostata fatta con farina bianca, zucchero raffinato e marmellata che sicuramente conteneva zucchero raffinato, forte del fatto che fosse buona da morire e che non sarei riuscita a rifiutare.

Mi ricorderò quella deliziosa crostata sul ponte sbilenco dopo la lanterna 17, quello su per il quale arranco aggrappandomi al corrimano sinistro, mentre al corrimano destro è appesa una vecchietta con il bastone, che non riesco a raggiungere; l’unico momento in cui ho benedetto il buio e che non ci fosse davvero nessuno che mi conosceva a vedermi.

Nei giorni precedenti alla gara, cerco di mantenere un atteggiamento positivo e mi convinco che “siamo appena a mercoledì, mancano ancora diversi giorni alla competizione”.
In fondo – penso – a dicembre ero riuscita a correre 18 chilometri a 7 min/km, il che, in senso assoluto, è un risultato patetico, ma per i miei standard è un’impresa. Se riesco a correre la metà dei chilometri a sei e mezzo, per quanto mi riguarda ho vinto.

Siccome non mi rendo conto dell’assurdità del mio proposito, anzi, ritengo di non essere ferma da molto (perché in cassa integrazione, tre settimane volano) e di potercela fare, metto a punto un programma di recupero che, in un impeto di ottimismo sportivo, e con un gioco di parole davvero formidabile, ho brillantemente chiamato “LET’S MOVIE”.
Se funziona – e non vedo perché non dovrebbe – proietterà il mio nome nel firmamento delle fit-star, accanto a Jane Fonda, Cindy Crawford e Gwynet Paltrow.

L’idea di base è piuttosto semplice e non capisco perché non sia venuta in mente ad altri: come, con un po’ di intraprendenza, si può prendere un buon voto a un esame studiando solo la notte prima, a maggior ragione si può ambire a una dignitosa prestazione atletica allenandosi solo nei tre giorni precedenti.

Non mi resta che individuare qualcosa che mi motivi nell’allenamento intensivo e procedere; infilo un bel film nel lettore DVD e monto sulla cyclette.
Di solito, non riesco a fare più di dieci minuti di cyclette, perché mi spolmona, anche senza la resistenza per simulare la salita, ma il trucco funziona: la trama mi rapisce e non sento più di tanto la fatica. Certo, il ritmo non è irresistibile, ma è abbastanza costante.

Dopo cinque minuti mi sento energica, vigorosa e piena di entusiasmo, e penso che dovrei farlo tutti i giorni, perché mi farebbe un gran bene, anche dal punto di vista culturale.
Dopo dieci minuti sono vigorosa ed entusiasta, decisa a dare vita a una rubrica quotidiana sul blog, in cui recensisco il film visto.
Dopo quindici minuti comincio a spogliarmi, ma ho ancora energie e sono molto compiaciuta; l’idea della rubrica è proprio bella, ma magari la faccio a giorni alterni, per non appesantire i miei lettori e le mie gambe.
Dopo venti minuti mi tolgo ancora uno strato – tanto sono in casa, non mi vede nessuno – e penso che il blog va già abbastanza fuori tema per conto suo: un intervento alla settimana sarà più che sufficiente.

Intanto, prendo nota di non inserire nel programma “Let’s movie” altri film “da piangere”: pedalare è già abbastanza faticoso e mi fa venire il fiatone, ci mancano i singhiozzi che mi spezzano il respiro.

Alla mezz’ora sono la versione sfigata di Lady Godiva che fa girare i pedali della cyclette alla stessa velocità con cui Venere gira sul proprio asse; come se non bastasse, conficior lacrimis.
Verso il terzo quarto d’ora ho una specie di moto d’orgoglio e riporto la resistenza alla seconda tacca (ero scesa alla prima quando mi ero tolta l’ultimo strato). Raddrizzo la schiena e mi concentro sul film.
L’iniezione di energia dura poco e, trascorsa l’ora, decido definitivamente che ai miei piccoli lettori non frega un cazzo dei film che guardo e che, se vogliono sapere com’è un film, possono guardare nel Mereghetti, come si è sempre fatto. Meno male che il finale è movimentato e resisto ancora un po’.

Sebbene conosca il film a memoria e sia preparata a incassare, l‘ohana mi stronca, e faccio gli ultimi minuti perdendo più liquidi dagli occhi che dalle ascelle.
A questo punto, il film è praticamente uno sceneggiato radiofonico perché sugli occhiali ho uno strato di fatica e disperazione oltre il quale non vedo nulla

Quando scendo dal sellino mi pare di aver fatto le infiltrazioni di quarzo alle cosce e ho la sensazione che mi stia spuntando la coda.

La mia motivazione è comunque altissima e nei giorni seguenti non mi lascio scoraggiare.
A ventiquattr’ore di distanza dalla prima sessione di “let’s movie”, do il via ad un’altra proiezione, questa volta con maggiori accorgimenti: inizio molto meno vestita del giorno prima, evito accuratamente i film di guerra (che mi fanno piangere tantissimo) e, nel dubbio, ignorando lo stadio del ciclo in cui mi trovo e i livelli di ormoni che vengono rilasciati nel mio corpo, sto alla larga anche da “Un dollaro d’onore”.

L’andamento del mio training di giovedì e venerdì è più o meno la copia di quello del primo giorno, con la differenza che faccio sempre più fatica, avendo le gambe rigide.
Questo, ovviamente, non mi fa scattare il minimo campanello d’allarme e non mi fa sospettare neanche alla lontana che il mio allenamento non sia efficace o non sia opportuno.

Neppure durante la lezione di yoga di venerdì, durante la quale mi sembra di avere gli arti superiori di un tirannosauro, si insinua in me il germe del dubbio, e la spiegazione che mi do è che mi siano cresciute le gambe.

Con la coscienza a posto, venerdì 24 dormo il sonno della giusta, cercando di restare immobile per non disfare la treccia che mi ha fatto il parrucchiere.
Ma questo è un altro aspetto della preparazione.

3 thoughts on “#VEnotte14, 25 gennaio 2014 | cap. 2, programma “Let’s movie”

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