La corsa a prendere il colera – MOV 2012, Venezia 11 novembre [1]

Eh, m’han segata.

Sì, via, lo sapevo che mi segavano, ora non è che staremo qua a farne una tragedia. Se vai a farti interrogare e sei impreparato, è ovvio che ti seghino.
C’è da dire, come attenuante, che la commissione non era proprio di ottimo umore; magari, in un giorno più sereno, una sufficienza stiracchiata ero ancora capace di portarla a casa, mentre domenica era proprio una giornata ostile.
Il motivo per cui un po’ le balle mi girano è che per un attimo ho creduto di potercela fare; sbagliando, evidentemente, ma l’ho creduto, perché alla fine, come peraltro previsto, era uscita la mia materia.

La corsa a prendere il colera

Di “bosco” sono l’ultima della classe, di “trail” lasciamo perdere (è pur sempre uno scritto, e si sa che negli scritti la si sfanga sempre, se non altro perché le probabilità di sbagliarle tutte sono molto basse, dando sempre la stessa risposta), “sci” e “mountain bike” non le ho neanche mai messe in programma, di “centro storico” ho raschiato qualche sufficienza qua e là più per l’impegno che per il risultato, ma questo… questo era biathl-o, era fatto per noi lamantini, gli unici organismi più adatti di me a questo tipo di prestazione erano gli anfibi. Ma neanche l’estrema fortuna con la materia d’esame può nulla di fronte all’impreparazione più sfacciata.

L’orienteering – e probabilmente la corsa in generale lo è ancora di più – è ineluttabilmente meritocratico e, a ben pensarci, dev’essere per questo che lo odio.
Non è che lo coglioni più di tanto con manfrine del tipo “non mi sono potuto preparare perché pioveva” o “il cane mi ha mangiato la cartina“. Vai là e fai quello che sai fare. E se non sai fare, semplicemente, perdi: non ci sono simpatie da sfruttare, arbitri da accattivarsi, trucchetti di cui approfittare. Sei sei sveglio e veloce, arrivi per primo; se sei solo uno dei due, o sei un pochettino di entrambe le cose, arrivi meno bene, ma ti comporti dignitosamente lo stesso; se non sei nessuno di questi – eh,  figgêu cao – cerca almeno di essere di compagnia durante il viaggio!
L’ultimo MOV è stato particolarmente selettivo.

Le condizioni meteomarine si sono, infine, rivelate migliori del previsto. Da sotto è arrivata tanta acqua, come poche volte si ricordano, in compenso, da sopra ne è scesa molta meno di quanta ce ne aspettassimo. Io parto comunque bardata come Fantozzi in montagna, perché non si sa mai.

La tenuta da gara di Larrycette prevedeva (dal basso verso l’alto):

– Scarpe iperammortizzate blu con lacci arancioni.
Le uniche calzature più ammortizzate di quelle, come forse ho già avuto modo di dire, sono gli stivali a molla di Paperinik. Scopo di queste calzature ipertecnologiche è portare a casa le rotule (particolarmente inclini a lasciare la loro sede abituale), non essendo dimagrita per tempo per poterlo fare con delle scarpe normali.


– Calzettoni dei Muppet, dall’evidente funzione talismanica.
Io, in realtà, mi ero portata anche il paio con Gonzo, il mio Muppet preferito, ma, visto dalla finestra il livello dell’acqua, ho deciso che non avrei fatto pollo in umido e ho mandato ad affogare Olaf, il cuoco svedese, che è comunque pertinente.


– Fuseaux neri con inserti arancione fluo. 


Sembrano usciti direttamente dagli anni Ottanta, residuato dell’epoca di Flashdance.
Caratteristica di questo indumento, oltre che di evidenziare ed esaltare al massimo ogni rotolino delle mie cosce e ogni grumo di cellulite del mio culo, è quella di non stare su neanche con le bretelle, e di iniziare a calare dopo alcuni passi, costringendomi a correre (si fa per dire) con le braghe in mano, come una che sta scappando da un cesso in fiamme. Non è chiaro perché mi ostini a indossarlo.


– Maglia traforata multicolore, pezzo “di sopra” della tuta della nostra giovane, ma rispettabile, società.
È evidente che non posso indossare il pezzo “di sotto” della tuta, perché il mio culo non sta nei pantaloni, quindi mi ostino a mettere almeno quello di sopra, nonostante la dirigenza mi rammenti sempre che non sono obbligata e, anzi, mi inviti a indossare altri indumenti, eventualmente anche le uniformi di altre società.


– Reggiseno sportivo fatto a brassiere, anziché col ferretto, che non apporta alcun vantaggio alla prestazione atletica.
L’ho comprato quando, al termine di una corsa più lunga del solito (circa otto minuti), mi sono scoperta una bollicina tipo vescica in corrispondenza dell’elastico. Fiera come un’imperatrice, mi sono sentita una figa galattica pensando che mi fossero cresciute le mammelle e che il loro aumentato  peso avesse spostato il reggiseno, generando l’attrito che aveva causato la vescica. Qualche giorno dopo, la bollicina, anziché sparire, si è moltiplicata, e io ho capito che non mi erano cresciute le bocce, bensì mi era venuto il fuoco di Sant’Antonio. Ma ormai che ho il portatette sportivo, lo uso, così quello imbottito mi resta pulito per quando mi rivesto da persona civile.


 –Lenti a contatto.
Ultimo ritrovato della scienza e della tecnica, l’introduzione di questo dispositivo è stata pensata per ovviare al problema delle lenti degli occhiali che si appannano e si coprono di gocce, in caso di pioggia. A parte il trascurabile inconveniente che mi danno fastidio, non ci vedo da vicino – perché non sono proprio appena entrata in categoria e la presbiopia avanza -, mi portano a strizzare gli occhi in continuazione per detergerle (evidentemente lacrimo burro: si ungono!), e non compensano esattamente la mia mancanza di diottrie, sono una discreta soluzione. Peccato che siano un po’ scomode e che possa metterle solo pochi minuti prima della partenza, per toglierle appena arrivata, irritandomi gli occhi a dismisura con le mani lerce. Esteticamente parlando, mi danno un’aria da cocainomane molto trendy, ma assumo un aspetto che non mi si addice, perché sistematicamente non vengo riconosciuta. Tra l’altro, sono pure più brutta senza occhiali. Un affarone, queste lenti, quindi.


– Larrycap.
Dicesi larrycap un consunto cappellino da baseball azzurro con ricamo giallo, che un tempo era blu elettrico con ricamo arancione. Ha visto molti concerti di Springsteen e in gara lo porto per ripararmi dalla pioggia con la visiera (“A che cazzo ti serve, se non hai gli occhiali?” – Bravi, piccoli lett-ori, ottima osservazione). Gli altri membri della società approvano, così se qualcuno vuol tirarmi un destro in un occhio, può andare a colpo sicuro e non rischiare di colpire un altro colpevole solo di essere vestito uguale.


Completava il tutto un’orrida manicure verde-pontida, che nelle mie intenzioni doveva fare pendent con i colori sociali e facilitarmi nel tenere il segno sulla carta.
In extremis, Zzi mi equipaggia della sua bussola da dito, esentandomi dal girare col sestante che uso di solito. Siccome non la so portare, tengo la mano con la bussola rigida e piatta come se fosse ingessata, perdendo la sensibilità del pollice entro la terza lanterna e di tutto il braccio entro la decima.


L’equipaggiamento ideale, però, sarebbe stata una tuta stagna anti-radiazioni, perché a sguazzare nella soluzione di fogna e guano di cui si compone al 70% il contenuto della laguna veneziana (il 20% è scarico di nave, il 10% sono ossigeno e idrogeno in rapporto 1:2, per conferire fluidità), come minimo si contrae il colera. Per carità, inzupparsi i vestiti girando fra le calli con i sacchetti di patatine vuoti e le lattine di coca-cola che veleggiano all’altezza delle ginocchia fa tanto Indiana Jones, ed è senz’altro meglio che dover scappare da un macigno rotolante, ma ammetto che a tratti il mio entusiasmo è vacillato. Poi mi sono detta che, in fondo, non c’era una farfalla in giro, non avevo alcuna possibilità di imbattermi in una lumaca e se c’era un lombrico, a quest’ora se l’era mangiato qualche pesce. La prospettiva di farmi largo fra chiatte di tampax usati m’è parsa improvvisamente incoraggiante.
Con un po’ di fortuna, inoltre, si poteva diventare dei mutanti e dire per sempre addio alla frontale nelle gare notturne, grazie ad una nuova fluorescenza endogena.






Sprezzante del buonsenso, io sono andata a fare la gara prima che ho potuto, con la marea che mi arrivava a metà femore (ginocchia per il resto del mondo), perché se devi compiere un’impresa, che almeno sia epica, e perché se devi fare del tuo meglio, che lo sia sul serio.
E io penso che fare del proprio meglio, per una che supera l’andatura di otto minuti al chilometro solo se cade e ruzzola in discesa, sia cagare il cazzo il meno possibile a quelli che la gara la fanno davvero, e partire quando non c’è nessuno sul percorso, in modo da levarsi dalle balle il prima possibile.
[Tutto qui? Nooo, continua, continua…]

6 thoughts on “La corsa a prendere il colera – MOV 2012, Venezia 11 novembre [1]

  1. Otti

    ah spero bene che continua, mi sembri una di quelle puntate bastarde di topolino che ti rimandavano all’episodio conclusivo sul numero della settimana successiva. Bastarde, appunto!

  2. Pingback: La corsa a prendere il colera – MOV 2012, Venezia 11 novembre [1] | CookingPlanet

  3. Larry Post author

    Naaa, continua prima.
    Già così la concentrazione dei lett-ori è messa a dura prova; nessuno avrebbe letto un post di tremila parole: una pausa, in questo caso, è un gesto caritatevole.
    Ad ogni modo, quel che aspetti tu non è neppure ancora stato scritto… ma non per questo puoi sentirti esentata dalla lettura della seconda parte!

  4. Pingback: Agente 00-cette: Nome in codice SPOILER (VeNotte 2013) 2 | LARRYCETTE

  5. Pingback: Allora, io vado, eh? | LARRYCETTE

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.