MOV e non più MOV: la verità sulla profezia dei Maya – MOV 2012, Venezia 11 novembre [2]

Sempre a proposito del fare del proprio meglio, penso che esso consista anche nel completare il percorso senza slavazzare le vecchie dalla testa ai piedi, senza buttare giù la gente dalle passerelle, senza estirpare i bambini dalle lanterne, quindi ha senso partire con largo anticipo, in modo da non perdere il treno del ritorno, perché per passare in mezzo alla gente senza sollevare spruzzi ci vuole tempo.

MOV e non più MOV

Dunque, ecco svelata la vera essenza della profezia dei Maya, finora fraintesa: nel 2012 non finirà il mondo, bensì il MOV.
Ho appreso a posteriori, infatti, che le partenze sono state sospese, quando la marea era già calata, per ragioni di ordine pubblico, in quanto i cittadini si sono lamentati per il comportamento poco rispettoso degli atleti, nonostante – aggiungo io – le esplicite raccomandazioni del comunicato di gara.
Ecco un’altra analogia con il mondo della scuola: ci si rimette tutti per colpa dei soliti stronzi, esattamente come quando ci si beccava cinque equazioni in più da fare a casa, perché il coglione di turno s’era lamentato dei troppi compiti.

Del resto, si sa: gli sportivi (non parlo solo degli orientisti, quindi) sono quelli che predicano il rispetto dell’avversario e il confronto leale, e poi ti si infilano in mezzo alle gambe per fotterti un posto nella coda per scaricare la Si-card o raggiungere il ristoro, e/o spostano il tuo zaino sotto al tuo naso per prendere il tuo posto sulle gradinate della palestra. Sono quelli che – sempre più furbi degli altri – se il comunicato di gara dice di andare piano, anziché farlo, mantenendo così un minimo di proporzione fra le prestazioni di ciascuno, filano come motoscafi per rifilare minuti su minuti ai pirla che, al contrario, il regolamento lo rispettano. Per fortuna il mio risultato non poteva essere in alcun modo influenzato dall’altrui comportamento.
Ovviamente, non tutti gli atleti sono sleali o prevaricatori, di certo non i miei compagni di società, e confido non i miei piccoli lett-ori, ma sfido a dimostrare il contrario con i numeri. A un certo punto bisogna pure farsene una ragione e non pretendere, paradossalmente, il rispetto delle regole dagli sportivi, allo stesso modo in cui non si pretende affetto sincero dai gatti o una guida sicura dalle donne: van presi come sono, hanno altre qualità.
D’altro canto, va detto che il turista/residente è troppo patiscimile.
Io son stata in giro solo due ore e non so quanto grave sia realmente stato il comportamento complessivo degli atleti in gara; ho visto un paio di scene che mi hanno fatto venire voglia di ingoiare la cartina e far finta di non entrarci un cazzo con la manifestazione, ma non posso testimoniare se siano state rappresentative o meno dell’andazzo della giornata. È pur vero che son trent’anni che a Venezia, a San Martino, c’è il MOV, e tu, stronza coi jeans stone washed che hanno fatto una strage di operai in Marocco, anziché prendertela con me (che sto arrivando alla moviola) perché un austriaco passato dieci minuti fa ti ha alluvionato il bauletto di Vuitton contraffatto, cerca di essere un po’ più tollerante e un po’ più accorta: si tratta di un solo giorno all’anno e c’è un tempo apocalittico, esci con la sporta dell’Ikea e non spaccare la minchia!

Tutta preparazione dissipata.

“La gara, Larry, la gara, non il comizio! Che t’hanno chiesto?”
Il compito non era particolarmente difficile (credo): una anche solo vagamente portata ne poteva venire fuori bene pur senza essersi preparata in maniera maniacale.
Il mio tracciato mi è sembrato carino, c’erano tratte che mi sono parse ovvie e messe lì per correre – come ho creduto essere giusto che fosse, ma magari erano dei trabocchetti pazzeschi che non ho ancora capito – e tratte che conveniva percorrere lentamente per non perdere il segno, se non si voleva diventare il protagonista di leggende dell’orrore che terminano con “… e dicono che, se ascolti bene, nelle notti di alta marea si sentono il rumore dei passi nell’acqua e il fiatone dell’orientista scomparso qui vent’anni fa”.

Io, per coerenza, getto il mio minimo di preparazione alle ortiche e sbaglio lo sbagliabile. Non mi perdo mai sul serio, ma più di una volta opto per fare il giro del Fullo, svariate altre vado lunga di diversi metri e torno indietro, con notevole dispendio di tempo ed energia (a cristonare, specialmente), per lo più perdo un sacco di tempo a riposizionarmi nella giusta direzione, ma – tutto sommato – vado. Sono talmente lenta che i bambini mi tamponano, ma non i bambini-orientisti, i quali, poveretti, hanno evidentemente ereditato la tara dai genitori e filano come sparati da una fionda; mi tamponano i bambini-civili, quelli imbottiti come una rustichella nonostante la temperatura oggettivamente mite, resi ciechi dal berretto di lana calcato sugli occhi, impacciati dal pannolino, che trottano con traiettorie casuali verso un genitore qualsiasi su instabili gambette ancora in pieno rodaggio.

A un certo punto, travolta dallo spirito agonistico, credo di aver addirittura fatto due gradini in un solo passo, ma è accaduto una sola volta.
Ho poi compiuto una scelta da vero orientista fra i punti 7 e 8, passando per i giardinetti e imbrattandomi le scarpe di fango. Non so se sia stata la traiettoria più economica, ma ho imparato che gli orientisti – o almeno quelli della mia regione, a giudicare da dove organizzano le gare – amano molto impiastricciarsi di fango come porcellini, quindi mi son fatta l’idea che ci sia una specie di obbligo morale di impantanarsi appena possibile e non ho voluto tirarmi indietro.
L’acqua alta non ha inficiato la mia prestazione atletica: non era particolarmente fredda (non lo è più dopo i primi 5 minuti, quando le terminazioni nervose sono inibite dal gelo) e le scarpe da corsa inzuppate pesano sempre meno delle scarpe con cui vado ogni giorno al lavoro. E poi l’euforia dello sguazzo – per quanto non fosse proprio la baia di Acapulco – mi ha messo addosso l’invexendo necessario a completare il percorso.

Il difficile a Venezia, come tutti sanno, è restare concentrati: la gara è lunga, è faticosa, la carta è piena di particolari, ma soprattutto la città è piena di distrazioni. Fatale credo mi sia stato il cappotto di Armani tinta aragosta con collo alla coreana esposto  nel punto vendita vicino all’Hard Rock Café. Suppongo lo abbia te visto tutti, ma – vi prego – ditemi come avete fatto a non passare il resto della gara a domandarvi quanto costerà, in che taglie sarà disponibile, come racimolare i soldi per comprarlo, quanto bene mi starebbe (a me: sono certa che vedendolo abbiate detto “Uh, come starebbe bene a Larry”), come fare a cucirsene uno uguale, dove comprare il panno identico, che bottoni ci vanno, in quante belle occasioni potrei sfoggiarlo, quanto si intonerebbe ai miei guanti.

Di considerazione in considerazione, arrivo in qualche modo alla diciassettesima lanterna, giro la carta vorticosamente un paio di volte e scopro che la prossima lanterna è l’ultima.
Piglio e vado: caruggio, riva, ponte, riva, ponte, riva, ponte, riva, lanterna, riva, finish. Fatto.
All’arrivo c’è Occhioni (colui che se sbatte le palpebre a Venezia fa una mareggiata a Parenzo), che impiego qualche istante a riconoscere (ho le lenti a contatto spalmate di strutto, a quest’ora), ma che poi saluto senza neppure vomitargli sulle scarpe per lo sforzo, cosa che, invece, in “allenamento” faccio abbastanza regolarmente.
Occhioni sembra apprezzare il mio gesto e ricambia con qualche parola di cortesia, che mi accorgo che riesco anch’io a scambiare.
Parlo. Non vomito. Parlo.
Parlo come Vandelli il 30 settembre, parlo, parlo e non so perché.
Parlo, cazzo? Ancora parlo?
Perché non sono in un polmone d’acciaio? Perché non mi sono sforzata un pittinin di più quando era il momento? Per tenermi il fiato per fare una conferenza? Cosa pensavo di fare, ritirare il premio dell’Academy e tenere un discorso di ringraziamento? (Vestita così, poi?)
Ora, io lo so che anche se avessi corso come se l’indomani la Terra avesse dovuto prendere fuoco, non avrei fatto un risultato sostanzialmente migliore di quello che ho fatto, ma ho una mezza impressione che mi sarei dovuta sbattere di più.
La verità, comunque, è che sono stata segata perché ero impreparata, e anche se avessi fatto un po’ di più la brillante, al massimo avrei dato alla commissione l’impressione di essere una brillantemente impreparata.
Ma Venezia se ne frega di quanto puoi fare il brillante in quel momento o di quanto speravi di sfangarla a colpi di culo.
Venezia non la freghi, e se non ti sei preparato seriamente, ti sega in malo modo, e torni l’anno prossimo.
Ora, però, dice che c’è un altro appello a gennaio e boh, non lo so, mi sa che provo a vedere come va.

11 thoughts on “MOV e non più MOV: la verità sulla profezia dei Maya – MOV 2012, Venezia 11 novembre [2]

  1. The speaker

    Dopo la lettura del lato A e del lato B dell’LP “Com’è triste Venezia”, non mi restano più lettere dell’alfabeto da usare per aggiungere nemmeno un “beh!” alla perfezione.
    Umberto Eco, non sei nessuno!!!

  2. Larry

    Adulatore!
    Il mio non è che un balbettio in confronto alle parole del prosatore che il mondo sta aspettando.

    Se ti loggassi sempre allo stesso modo, non avresti rivali per il titolo di commentatore dell’anno

  3. Otti

    Mi sfugge un solo particolare… segare è metaforico o letterale? E in che senso segare? Uno corre (o cammina, vedi te), arriva, si piazza primo, ultimo o, più probabilmente, in una posizione intermedia. Fine. Perchè segare?! Oddiomio come sono ignorante di orienteering. Sob.

    In ogni caso ti informo che non hai corso, conservando fiato per il comizio conclusivo, NON per mancanza di impegno, bensì per rispetto delle lobotomizzate portatrici sane di LV tarocche, come da cappello del tuo post. Chiaro no?

    Regalino: era questo? Non è poi così inarrivabile… ;) http://www.armani.com/it/armanicollezioni/spolverino_cod41315313ri.html

  4. francy

    Sei decisamente manzoniana!!!!
    complimenti per la descrizione realistica che hai reso di una giornata che alle 9,30 si presentava tempestosa a bordo di un vaporetto veneziano che affrontava il canal Grande con maestria, mentre il mare infrangeva le sue onde sempre più alte alla punta della dogana…. ed io, con il mio cappottino nero, attrezzata con trombini veneziani nuovi, appena comperati fuori dalla stazione, decidevo di gettare la spugna, lasciare il mio mentore e fuggire mettendomi in salvo su un treno verso Roma.. le nere nubi mi hanno accompagnata fino alla capitale e ….nuovamente un temporale mi colse all’uscita dalla metro: destino umido!!!!!
    Venezia, amore mio, romantica città, ci diamo appuntamento a gennaio…chissà che non ci sia la neve….

  5. Larry Post author

    @Otti: no, non era quello, era proprio come l’ho disegnato: leggermente scampanato, senza bottoni a vista, in pezza unica, in un bellissimo tono di arancio aragosta. Niente di irripetibile o di eccezionale, ma gridava “Larrycette”.

    @Francy: accidenti, magari! Certo, io do una patta per terra se sento solo nominare la parola “neve”, quindi non sarebbe certo la condizione ideale per le mie doti motorie, ma Venezia con la neve dev’essere tanto bella. E poi con la neve si può mangiare il torrone morbido senza sensi di colpa, perché “bruci per scaldarti”.

  6. Otti

    anzi, mi rispondo da sola: no, che c’ha quella specie di lavorazione in zona cintura che nel tuo disegno manca completamente :( I’ll keep on searchin’…

  7. Pingback: Venezia 11 novembre 2012 – WA | Larry e Tsitalia

  8. Otti

    che non c’ho provato, secondo te?! L’unico degli otto è Van Diemen’s land. Sono una capra in haute couture e pure in musica.

    p.s. Livio manco quella!
    yess, confirmo im not a spammer, ok

  9. Pingback: LARRYCETTE » Blog Archive » La cena prima del MOV 2012

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