MOV e non più MOV
Ho appreso a posteriori, infatti, che le partenze sono state sospese, quando la marea era già calata, per ragioni di ordine pubblico, in quanto i cittadini si sono lamentati per il comportamento poco rispettoso degli atleti, nonostante – aggiungo io – le esplicite raccomandazioni del comunicato di gara.
Ovviamente, non tutti gli atleti sono sleali o prevaricatori, di certo non i miei compagni di società, e confido non i miei piccoli lett-ori, ma sfido a dimostrare il contrario con i numeri. A un certo punto bisogna pure farsene una ragione e non pretendere, paradossalmente, il rispetto delle regole dagli sportivi, allo stesso modo in cui non si pretende affetto sincero dai gatti o una guida sicura dalle donne: van presi come sono, hanno altre qualità.
Io son stata in giro solo due ore e non so quanto grave sia realmente stato il comportamento complessivo degli atleti in gara; ho visto un paio di scene che mi hanno fatto venire voglia di ingoiare la cartina e far finta di non entrarci un cazzo con la manifestazione, ma non posso testimoniare se siano state rappresentative o meno dell’andazzo della giornata. È pur vero che son trent’anni che a Venezia, a San Martino, c’è il MOV, e tu, stronza coi jeans stone washed che hanno fatto una strage di operai in Marocco, anziché prendertela con me (che sto arrivando alla moviola) perché un austriaco passato dieci minuti fa ti ha alluvionato il bauletto di Vuitton contraffatto, cerca di essere un po’ più tollerante e un po’ più accorta: si tratta di un solo giorno all’anno e c’è un tempo apocalittico, esci con la sporta dell’Ikea e non spaccare la minchia!
Tutta preparazione dissipata.
Il mio tracciato mi è sembrato carino, c’erano tratte che mi sono parse ovvie e messe lì per correre – come ho creduto essere giusto che fosse, ma magari erano dei trabocchetti pazzeschi che non ho ancora capito – e tratte che conveniva percorrere lentamente per non perdere il segno, se non si voleva diventare il protagonista di leggende dell’orrore che terminano con “… e dicono che, se ascolti bene, nelle notti di alta marea si sentono il rumore dei passi nell’acqua e il fiatone dell’orientista scomparso qui vent’anni fa”.
Io, per coerenza, getto il mio minimo di preparazione alle ortiche e sbaglio lo sbagliabile. Non mi perdo mai sul serio, ma più di una volta opto per fare il giro del Fullo, svariate altre vado lunga di diversi metri e torno indietro, con notevole dispendio di tempo ed energia (a cristonare, specialmente), per lo più perdo un sacco di tempo a riposizionarmi nella giusta direzione, ma – tutto sommato – vado. Sono talmente lenta che i bambini mi tamponano, ma non i bambini-orientisti, i quali, poveretti, hanno evidentemente ereditato la tara dai genitori e filano come sparati da una fionda; mi tamponano i bambini-civili, quelli imbottiti come una rustichella nonostante la temperatura oggettivamente mite, resi ciechi dal berretto di lana calcato sugli occhi, impacciati dal pannolino, che trottano con traiettorie casuali verso un genitore qualsiasi su instabili gambette ancora in pieno rodaggio.
Il difficile a Venezia, come tutti sanno, è restare concentrati: la gara è lunga, è faticosa, la carta è piena di particolari, ma soprattutto la città è piena di distrazioni. Fatale credo mi sia stato il cappotto di Armani tinta aragosta con collo alla coreana esposto nel punto vendita vicino all’Hard Rock Café. Suppongo lo abbia te visto tutti, ma – vi prego – ditemi come avete fatto a non passare il resto della gara a domandarvi quanto costerà, in che taglie sarà disponibile, come racimolare i soldi per comprarlo, quanto bene mi starebbe (a me: sono certa che vedendolo abbiate detto “Uh, come starebbe bene a Larry”), come fare a cucirsene uno uguale, dove comprare il panno identico, che bottoni ci vanno, in quante belle occasioni potrei sfoggiarlo, quanto si intonerebbe ai miei guanti.
Piglio e vado: caruggio, riva, ponte, riva, ponte, riva, ponte, riva, lanterna, riva, finish. Fatto.
Occhioni sembra apprezzare il mio gesto e ricambia con qualche parola di cortesia, che mi accorgo che riesco anch’io a scambiare.
Parlo. Non vomito. Parlo.
Parlo come Vandelli il 30 settembre, parlo, parlo e non so perché.
Perché non sono in un polmone d’acciaio? Perché non mi sono sforzata un pittinin di più quando era il momento? Per tenermi il fiato per fare una conferenza? Cosa pensavo di fare, ritirare il premio dell’Academy e tenere un discorso di ringraziamento? (Vestita così, poi?)
Ma Venezia se ne frega di quanto puoi fare il brillante in quel momento o di quanto speravi di sfangarla a colpi di culo.
Dopo la lettura del lato A e del lato B dell’LP “Com’è triste Venezia”, non mi restano più lettere dell’alfabeto da usare per aggiungere nemmeno un “beh!” alla perfezione.
Umberto Eco, non sei nessuno!!!
Adulatore!
Il mio non è che un balbettio in confronto alle parole del prosatore che il mondo sta aspettando.
Se ti loggassi sempre allo stesso modo, non avresti rivali per il titolo di commentatore dell’anno
Mi sfugge un solo particolare… segare è metaforico o letterale? E in che senso segare? Uno corre (o cammina, vedi te), arriva, si piazza primo, ultimo o, più probabilmente, in una posizione intermedia. Fine. Perchè segare?! Oddiomio come sono ignorante di orienteering. Sob.
In ogni caso ti informo che non hai corso, conservando fiato per il comizio conclusivo, NON per mancanza di impegno, bensì per rispetto delle lobotomizzate portatrici sane di LV tarocche, come da cappello del tuo post. Chiaro no?
Regalino: era questo? Non è poi così inarrivabile… ;) http://www.armani.com/it/armanicollezioni/spolverino_cod41315313ri.html
Sei decisamente manzoniana!!!!
complimenti per la descrizione realistica che hai reso di una giornata che alle 9,30 si presentava tempestosa a bordo di un vaporetto veneziano che affrontava il canal Grande con maestria, mentre il mare infrangeva le sue onde sempre più alte alla punta della dogana…. ed io, con il mio cappottino nero, attrezzata con trombini veneziani nuovi, appena comperati fuori dalla stazione, decidevo di gettare la spugna, lasciare il mio mentore e fuggire mettendomi in salvo su un treno verso Roma.. le nere nubi mi hanno accompagnata fino alla capitale e ….nuovamente un temporale mi colse all’uscita dalla metro: destino umido!!!!!
Venezia, amore mio, romantica città, ci diamo appuntamento a gennaio…chissà che non ci sia la neve….
@Otti: no, non era quello, era proprio come l’ho disegnato: leggermente scampanato, senza bottoni a vista, in pezza unica, in un bellissimo tono di arancio aragosta. Niente di irripetibile o di eccezionale, ma gridava “Larrycette”.
@Francy: accidenti, magari! Certo, io do una patta per terra se sento solo nominare la parola “neve”, quindi non sarebbe certo la condizione ideale per le mie doti motorie, ma Venezia con la neve dev’essere tanto bella. E poi con la neve si può mangiare il torrone morbido senza sensi di colpa, perché “bruci per scaldarti”.
uffiiii
allora è questo?? (scusa, mi rendo conto non sia così fondamentale, ma quando mi intrippo su una cosa…) http://www.armani.com/it/emporioarmani/cappotto_cod41316101nd.html
anzi, mi rispondo da sola: no, che c’ha quella specie di lavorazione in zona cintura che nel tuo disegno manca completamente :( I’ll keep on searchin’…
Prova a indovinare il motivo misterioso, piuttosto!!!
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che non c’ho provato, secondo te?! L’unico degli otto è Van Diemen’s land. Sono una capra in haute couture e pure in musica.
p.s. Livio manco quella!
yess, confirmo im not a spammer, ok
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