Masone O-meeting aka Lipica Open 2013 – Reportage dal parcheggio

La principale novità della Lipica Open 2013 è stata la scelta della zona di gara, che non era, come consueto, nei dintorni di Lipica (Slovenia, provincia di Koper/Capodistria), bensì a Masone, provincia di Genova.
Il clima, infatti, non era quello mite e soleggiato di Trieste e il suo entroterra, ma quello fosco, umido e freddo – lovego, in una parola – dell’Appennino ligure alle soglie del basso Piemonte.

Partiti da Trieste, gli atleti della nostra giovane, ma rispettabile società, già poco prima di Basovizza incontrano una nebbia densa e grigiastra come una zuppa di cipolle. Contemporaneamente, una pioggia leggera, ma costante, scende dal cielo. Decisamente, non possiamo che essere a Masone.

Stando ai cartelli, però, la località in cui si svolge la seconda prova della Lipica Open 2013 è Povir.
Il luogo com’è? Una valle di nomadi, sì, senz’altro, con targhe da ogni dove, ma altro non vedo. Dopo i primi minuti di permanenza, infatti, anche qui arriva la nebbia che ci eravamo solo temporaneamente lasciati alle spalle. Mentre scrivo, Zzi è in gara da tre minuti; io in ansia da quindici.

Io non scendo dall’auto neanche per salutare le persone, che benedico dal finestrino con regale contegno o ricevo nel bagagliaio, come nel caso di un blasonato atleta bolognese, tutt’ora convinto che io sia senza gambe, o un pupazzo animato da un mimo nascosto sotto il pianale.

 

Terminati i convenevoli, è tempo di mettersi al lavoro.
Consapevole del fatto che avrei trascorso la giornata in macchina, mi sono attrezzata per poter essere almeno parzialmente produttiva, prevedendo di aggiornare questo blog, e preparare – ad esempio – qualche appassionantissimo post sul croato per il futuro (a proposito: erano mesi che non vedevo l’ora che passasse la Lipica per cambiare lingua e immaginare le vostre facce, tra lo sconcerto e lo scoglione), raccontare le cene liguri, emiliano-romagnola e lombarda, che nel frattempo si sono svolte, prima che piombi su di noi quella veneta, relazionarvi sul menu della sera precedente, descrivendovi passo a passo come fare il gulasch alla genovese, fare il punto dei miei esperimenti essiccatorii, darvi la ricetta dell’ultima  crostata (mica la ricetta vera, ovvio, una roba di facciata) e altre cose di importanza vitale come queste.

Per farlo, ho trascinato in quei luoghi ostili il mio fido PC portatile.
È un netbook Samsung NC10 e, come tutte le cose belle, non lo fanno più, in compenso, Amazon è pieno di componenti per costruirsene da soli uno.
Egli – perché per me è una persona – è forte e robusto, affidabile e solidale. A parte il fatto che ha uno schermo che alla mia età non mi posso più permettere, e che impiega una Quaresima ad avviare qualsiasi cosa, incluso se stesso, perché ha Windows (XP, però: nella disgrazia, è andata bene), è un gioiellino. Praticamente tutto quello scrivo nasce lì sopra, in qualsiasi luogo e in qualsiasi condizione meteomarina.

Avevo anche considerato il fatto che, essendo all’estero, non avrei potuto navigare su internet, la qual cosa mi è indispensabile per trarre ispirazione, ma avevo brillantemente risolto l’inconveniente prevedendo di collegarmi in WiFi usando un dispositivo con SIM come hotspot. Ovviamente, non è stata un’idea mia, bensì di Zzi, ma me ne prendo il merito perché mia è stata l’idea di andare a scassare il cazzo a lui per trovare un modo.

Perfettamente attrezzata, dunque, mi accingo a trasformarmi nella regina della rete.

SWAAHMM!
[Qua figuratevi un’animazione: in sottofondo una musica piena di tensione e di fiati, alla Shostakovich, e davanti agli occhi un lampo, poi un fascio di luce che mi investe e mi solleva da terra, tramutandomi in una creatura da fiaba con lunghi capelli rossi e un abito bianco, tipo la regina degli elfi Galadriel ne Il Signore degli Anelli… no, non tipo Fiona alla fine di Shrek, bastardi!]

Non va.
Non è che il piano non funzioni, è che nel niente senza sole in cui mi trovo i cellulari non prendono, quindi anche il dispositivo con SIM (si noti la raffinata perifrasi per non nominarlo) di cui sono provvista va bene, al massimo, per affettarci sopra il salame.

Sono spacciata. D’improvviso, mi accorgo di essere murata viva, senza niente da fare. Guardo fuori, passa una farfalla. Una cosa minuscola, praticamente una tarma, ma pur sempre una farfalla. Nessuno mi crederà mai, quando lo racconterò, ma la mia angoscia è insopportabile. Il Brioso Ballerino, sul sedile dietro, dorme come un pupo. La noia mi avvolge e mi soffoca come sabbie mobili.

Poi, l’illuminazione: ho il ricamo nello zaino. C’è una luce impossibile, ma almeno mi terrà occupata per un po’. Inoltre, siamo a marzo e ho a malapena attaccato la tappa di febbraio, la Giraffa sarà molto delusa, devo cercare di rimediare (Giraffa, non guardare)

E giù crocette.
E giù crocette su crocette.
Vedo un cazzo, ma giù crocette.
Sbaglio (vedo un cazzo!), disfo e giù altre crocette.
È una tortura cinese, ma giù crocette.

Solo che dopo un po’, sarà il paesaggio, sarà la situazione, una si accorge che non sta bene. È inutile che cerchi distrazioni: non sto bene.
La prima reazione, è far finta di niente. Negare di avere un problema è il comportamento più comune, ma così facendo lo si lascia crescere e aggravarsi, finché a un tratto – senza una ragione apparente – il problema viene fuori da solo, e allora sì che sono cazzi.

Me ne stavo lì, con le mie forbicine al collo e la mia tela in mano, e mi sono resa conto che non potevo più continuare, perché dovevo scendere dalla macchina e fare una cosa.
Non so se, in vita mia, ho dovuto mai fare qualcosa di altrettanto difficile, prima di allora. È una cosa che va totalmente contro la mia natura, e mi mette a disagio, e mi è costata uno sforzo di volontà tale che, al confronto, un mese di dieta rigida è una passeggiata.
Per un po’, quindi, ho cercato di non farlo, di pensare ad altro, cercando di lasciare le cose come stavano, raccontandomi la favola che si sarebbero sistemate da sole. La consapevolezza che non sarebbe accaduto, però, si è fatta largo dopo non molto, anche se a me è parso di passare un’eternità con una mano sulla maniglia della portiera e l’altra in bocca, a rosicchiarmi un’unghia dopo l’altra.

Non so se vi sia mai capitato di sapere di dover fare una cosa, ma non trovare il coraggio di cominciare, paralizzati dalla paura come un porcospino davanti ai fari.
Io mi sono vista nella sequenza finale de I Ponti di Madison County, quella in cui Francesca, al semaforo, vede attraverso il parabrezza bagnato il furgone di Robert e deve capire cosa vuole, e avere le palle per aprire la portiera, uscire sotto la pioggia e andare da lui. In questo momento, però, bisognerebbe essere, piuttosto, Clint Eastwood.

Come si dice, però, più del dolor potè il digiuno, e alla fine, una, le palle, anche se non ce le ha, vede di trovarle, perché è arrivata un punto che deve scegliere il male minore e uscire da questa dolorosa empasse (e anche da questa station wagon).

Così, ho preso la mia panciata di malessere, ho fatto il più grosso sforzo della mia vita (dopo aver smesso di tingermi i capelli) e sono scesa dall’auto. Ho avvertito distintamente il sangue passare atrii e ventricoli, ho creduto di aver ingoiato il cuore, tanto lo sentivo nello stomaco per la paura, mentre guardavo incredula i miei piedi (e le mie scarpe nuove, cielo!) che camminavano nel fango, mossi da una volontà che non sapevo di avere.

Ma, come dicevo, quando il tuo io più recondito sa che devi fare una cosa, non la puoi evitare, e neanche, più di tanto, rimandare, e forte di questa consapevolezza e sprezzante delle conseguenze che ne sarebbero potute derivare, sono andata a cercarmi un cespuglio e ho finalmente fatto la pipì.

Ora so che, se opportunamente motivata, posso compiere qualsiasi impresa.

Dopodomani sarò a Valeriano, dove è nuovamente previsto fango (Furlania!).
Ripeterò la performance: il biglietto per vedermi costa 5 euro, ma accetto anche salamini, pezzi di montasio, bottiglie di vino, uova del contadino e altre prelibatezze. Ho già comprato un bel pennarello arancione per firmare autografi!

 

2 thoughts on “Masone O-meeting aka Lipica Open 2013 – Reportage dal parcheggio

  1. Pingback: Gorenje – Povir 10.03.2013 « Larry, Tsitalia e l' orienteering

  2. Pingback: Cena Ligure: menu di piatti tipici | LARRYCETTE

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.